Vita da badger

Io lavoro per una multinazionale americana, lavoro da ufficio, al settimo piano di un edificio enorme collocato nel nulla della pianura che circonda una grande città. Come la maggior parte dei miei colleghi ho l’obbligo della timbratura all’ingresso e all’uscita, pratica vessatoria che condiziona l’andamento dell’intera giornata. L’orologio da polso, come anche quello dell’automobile, della cucina e della sveglia a casa, sono perfettamente sincronizzati al secondo sull’orario indicato dai tornelli del mio ufficio.

 

Scopo della prima mattina è arrivare a timbrare entro l’orario che mi permette, esattamente nove ore dopo, di contro-timbrare, riconquistare la libertà persa e correre ai vari appuntamenti serali che il mio fitto calendario di hobbies prevede. Raggiungere il traguardo non è facile, specie se occorre prendere tre differenti mezzi di trasporto, quasi mai sincronizzati fra di loro. Il primo è la mia macchina, e sul suo funzionamento posso fare abbastanza affidamento, il secondo è un treno, e già qui la faccenda si complica.

 

Ho fatto una statistica sulla puntualità dei treni in funzione dell’orario del loro transito e ho scelto quello più affidabile. Nonostante la scelta oculata l’imprevisto e l’inspiegabile è all’ordine del giorno. Nella stazione dimenticata dal mondo dove posso prendere il mio treno ci sono quattro binari, due panchine per binario, un sottopassaggio e una bacheca che contiene gli orari, illeggibili perché la carta sulla quale sono stampati si è da tempo staccata dal pannello per accartocciarsi sul fondo della bacheca. I ritardi non vengono annunciati, così come non lo è il cambiamento di binario e questo implica una costante attenzione rivolta alla strada ferrata per cogliere il minimo stridio e la sua direzione, e scattare all’occorrenza da un binario all’altro. Dimenticavo, non c’è personale, non c’è nessuno al quale rivolgersi, mai.

 

Una volta preso il treno non bisogna abbassare la guardia, può infatti succedere che il treno si fermi in una stazione più grande, venga affiancato da un altro treno che compie esattamente lo stesso percorso e che, per motivi che non è dato sapere, riparte prima, mentre quello sul quale ci si trova si ferma per poi tornare indietro. Ad ogni sosta quindi è meglio fare attenzione ad eventuali esodi di passeggeri o tendere l’orecchio verso la porta attraverso la quale è possibile cogliere annunci interessanti, che l’altoparlante montato e funzionante sul treno non si sogna di emettere. Una volta dirottati su di un altro treno non è consigliabile sistemarsi comodamente, riaprire il giornale e rilassarsi, potrebbe infatti esserci un colpo di scena: il primo treno che parte è proprio quello dove si era comodamente seduti e dal quale si è usciti in tutta fretta.

 

A meno quindi di surriscaldamento della linea, di deragliamento, di incendi, di suicidi e altre calamità si giunge finalmente a destinazione. A questo punto io e tutti i miei colleghi, che il treno ha raccolto lungo il percorso, dobbiamo darci da fare perché nessuna navetta aziendale ci porterà al traguardo finale, il tornello. Usciti dalla stazione ci sistemiamo accanto alla fermata dell’autobus e l’angolo del marciapiede, quello che è più visibile dalla strada, è oggetto di contesa ed è molto affollato. Perché? Perché da lì è possibile sorridere a tutte le macchine che passano, e sperare che una di queste contenga un collega disposto a dare un passaggio e a trovarsi la macchina improvvisamente invasa da altri sconosciuti.

 

Ci siamo, la meta è vicina. Una volta nella macchina amica è già possibile stimare il tempo di arrivo e quindi quello di uscita e quindi il primo treno disponibile per tornare a casa. Una volta arrivati al parcheggio si ringrazia il malcapitato, lo si saluta, e qualche volta non si aspetta nemmeno che abbia chiuso l’automobile, ma si parte per lo scatto finale. Con passo celere ci si dirige verso il primo tornello, quello che segna l’orario e che consente l’ingresso nell’atrio. Si legge bene il numero di secondi che segna, se maggiore di 45 occorre un ultimo scatto verso il tornello ufficiale, prima che scada il minuto. I più sprovveduti non sanno quali sono i tornelli che non funzionano e perdono secondi preziosi.

 

La graziosa nota emessa dal tornello mi segnala che ce l’ho fatta, anche oggi sono arrivata in tempo. Da questo momento in poi la giornata sarà una passeggiata, non ci sarà lavoro, colleghi, clienti che potranno turbare o minacciare la mia serenità, mi è infatti vietato fare lavoro straordinario e so quindi che anche oggi potrò godermi le mie poche ore di libertà.


One Response to “Vita da badger”

  1. Myria writes:

    Scommetto che sopprimeresti volentieri una mia conoscente che si lamenta di dover percorrere 8 minuti a piedi per accompagnare il figlio a scuola

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