Unfit

Sono tornata nella palestra e ho provato la lezione di danza del ventre.

La tipa sulla cinquantina che insegna ha i capelli cotonati e mal tinti di nero, non si muove, riesce traballando a fare mezzo giro, che qui non saremo al Bolshoi, per carità, ma almeno reggersi in piedi, e soprattutto non si piace, non si diverte e guarda continuamente l’ora. Preferisco l’allieva che indossa una maglietta nera con una testa d’indiano sul davanti, calzoncini neri dell’Adidas, quelli con le strisce bianche laterali, con sopra una fascia piena di ninnoli sonanti e ai piedi pedule bianche, almeno ha entusiasmo. Però non credo che mi basti, e non basta nemmeno alle altre, dato che all’inizio della lezione eravamo in dieci e alla fine in tre.

Allora ho provato la lezione di danza jazz. Il maestro è nero, le musiche sono quelle di Michael Jackson, lo stile è lo stesso che ballavo negli anni ottanta, d’altronde non è che il jazz nel frattempo sia cambiato, pure io che pretese.

Andando via ho preso il gentile omaggio che mi veniva offerto, una mezza fetta di pane nero, piccola e sottile, che bisogna mantenere la linea.

Stasera scrivo la lettera di disdetta.

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