Estate o inverno, autunno o primavera, loro sono sempre lì. Il luogo è un parcheggio di scambio con un centinaio di posti auto, incastonato fra il cortile di una scuola, un alto ponte quasi sovrastante, un giardino pubblico mal messo e la linea della ferrovia, ci sono pochi pini sotto i quali riparare l’auto in estate. E’ un brutto posto, frequentato dai cani, da adolescenti strombazzanti, cosparso di vetri infranti delle auto, di bottiglie di birra, sporco di scritte, buio. Al mattino parcheggio sul fondo, il punto più isolato e lontano dall’ingresso dove rimangono i pochi parcheggi liberi, e prendo il treno.

Quando alla sera torno, almeno due volte alla settimana, sono lì, lo scooter spento, l’auto ferma dietro l’ultimo pino, l’abitacolo nascosto dal tronco, sono costretta a passargli davanti, la mia auto è oltre, qualche volta abbasso lo sguardo, qualche volta sbircio curiosa. Sono seduti in macchina uno accanto all’altra, lui un elegante ed attempato signore, lei una giovane e bella donna dai lunghi capelli scuri, li sorprendo a parlarsi, oppure mentre se ne stanno in silenzio, qualche volta lei poggia la testa sulla spalla di lui e lui guarda davanti a se. Non li ho mai colti in atteggiamenti diversi, mai nemmeno un bacio. Mi sono familiari ormai, avrei quasi voglia di salutarli con un gesto, ma sarebbe un’intrusione nella loro intimità.

Mi chiedo come vivono, ritagliando quel tempo per loro, che cosa sono l’uno per l’altra. Mi preoccupo quando non li incontro per una settimana consecutiva, mi dispiacerebbe se si lasciassero, mi sembrano una cosa bella, in un posto dove tutto il resto è brutto.