Unfit

Sono tornata nella palestra e ho provato la lezione di danza del ventre.

La tipa sulla cinquantina che insegna ha i capelli cotonati e mal tinti di nero, non si muove, riesce traballando a fare mezzo giro, che qui non saremo al Bolshoi, per carità, ma almeno reggersi in piedi, e soprattutto non si piace, non si diverte e guarda continuamente l’ora. Preferisco l’allieva che indossa una maglietta nera con una testa d’indiano sul davanti, calzoncini neri dell’Adidas, quelli con le strisce bianche laterali, con sopra una fascia piena di ninnoli sonanti e ai piedi pedule bianche, almeno ha entusiasmo. Però non credo che mi basti, e non basta nemmeno alle altre, dato che all’inizio della lezione eravamo in dieci e alla fine in tre.

Allora ho provato la lezione di danza jazz. Il maestro è nero, le musiche sono quelle di Michael Jackson, lo stile è lo stesso che ballavo negli anni ottanta, d’altronde non è che il jazz nel frattempo sia cambiato, pure io che pretese.

Andando via ho preso il gentile omaggio che mi veniva offerto, una mezza fetta di pane nero, piccola e sottile, che bisogna mantenere la linea.

Stasera scrivo la lettera di disdetta.

Fit

Fra i buoni propositi per il nuovo anno ai primi posti si colloca quello di ballare di più. I primi di gennaio mi sono quindi iscritta in una palestra. Cosa c’entra?, si potrebbe obiettare, ed infatti c’entra poco. E’ una palestra grande, ha due sale, lezioni mattina e pomeriggio fra le quali tre appuntamenti settimanali con danza del ventre, jazz e classica. Ci sarebbe anche la zumba, ma allora preferisco la danza maori. La palestra è arredata in stile orientaleggiante con il soffitto drappeggiato di tende macchiate per nascondere i cavi elettrici. Purtroppo è riservata alla donne, ma offre nel pacchetto tutto compreso anche le baby-sitter che ti sorvegliano l’infante mentre tu ti affanni in qualche sala o alle macchine (averlo saputo a suo tempo). Mi sono prudentemente iscritta per un solo mese. La proprietaria voleva farmi pagare uno sproposito di iscrizione, ma ho fatto la turca, ho detto che se la cifra era così alta allora dovevo consultare mio marito, ha funzionato, ho pagato un terzo dello sproposito, risparmiandomi anche l’orrida borsa in omaggio.

Stamattina volevo provare una non meglio specificata lezione per rinforzare la schiena. Il corridoio che porta alla sala era ingorgato di carrozzine, mi affaccio e vedo il pavimento interamente ricoperto di madri e neonati. Vado dalla proprietaria e le chiedo come mai avesse segnato questa fra le possibili lezioni per me, risponde che non sa, non ricorda e che comunque posso fare invece una bella lezione di PP (Power Pilates), abbinata ad un pre-riscaldamento con altre attrezzature, e corrucciata mi chiede come mai ancora non ho fatto un piano fitness e non ho la mia scheda e nemmeno le scarpe adatte. Le spiego che sono una luddista che aborre gli attrezzi da palestra e che il piano fitness me lo faccio da sola, e che alla bicicletta finta non mi ci metto, dato che sono arrivata in palestra con quella vera. Per tutta risposta mi accompagna alla cyclette, mi mostra dove mettere i piedi, il bicchiere, dove guardare la TV, dove leggere a che velocità vado, a quanto pompa il cuore, e come si fa ad andare più velocemente, e quante calorie ho consumato, già tre, perbacco, e di non smettere che altrimenti la macchina si spegne. Mentre si volta e si allontana scalo le marce e mi attesto su comodi novanta battiti al minuto, al di sotto della soglia di rischio per i settantenni, aspetto che inizi la lezione di Pilates.

La sala dove sono orizzontalmente collocate le otto vergini di Norimberga per la pratica del Pilates è piena quando arrivo, ma infondo c’è la mia con tanto di cinghie, ruote e molle. Non so’ come si prepara, mi soccorre sollecita la vicina ottuagenaria, prima che intervenga la bella istruttrice a ristabilire la gerarchia. Tutto sommato l’esercizio è molto semplice, mi devo sdraiare sulla panca e poi piegare ed allungare alternativamente le gambe. Il movimento si traduce in una oscillazione della panca molto simile a quella su cui si devono allenare i canottieri. A proposito di acqua, dopo un po’ di su e giù mi sento come un vortice alla testa, che si propaga allo stomaco, per poi tornare su e dirmi di scendere dal coso, che soffro di mal di mare. Argomenti del tipo che il mare dista quasi cinquecento chilometri da qui non sortiscono nessun effetto. Mi tiro subito su, parte la molla e voilà, mi ritrovo sul pavimento, l’ottuagenaria per fortuna mi dà una mano. Seguo la lezione senza altri incidenti di rilievo, montando e smontando dalla canoa quando il mare si fa troppo mosso. A fine ora veniamo tutte provviste di vaporizzatore e pezza per pulire le otto vergini.

Uscendo dallo spogliatoio schivo tutti i personal trainer ed in strada ritrovo finalmente la mia bicicletta, pronta a tornare a casa.

Fra i buoni propositi per il nuovo anno ai primi posti si colloca quello di imparare meglio il tedesco. Intanto mi sono comprata una grammatica di spagnolo.

Le cose che so fare

Cucinare le minestre, mi vengono proprio bene, soprattutto quelle di legumi. Piegare le cose, dalla mutandina alla portaerei, come ebbe a notare Lui parecchi anni fa. Leggere il linguaggio del corpo delle persone, capire quello che pensano e che sentono a prescindere da tutto quello che possono invece dire. Capire le persone guardandole ballare. Ricordare, fatti, persone, storie. Ascoltare, perché poi mi piace ricordare, appunto, fatti, persone, storie. Concentrarmi, su una cosa per volta. Trattare con cura le cose. Ottimizzare, tempo e spazio, ma non per voler fare economia a tutti i costi, ma perché penso che c’è sempre margine per migliorare e perché odio gli sprechi. Ridere di cuore, anche per sciocchezze. Muovermi nello spazio senza collidere con persone e cose. Scrivere, se solo sapessi cosa. Controllarmi, anche se ogni tanto perdere il controllo, nel bene e nel male, non nuocerebbe, a me come al mio prossimo. Qualche anno fa avrei detto anche dare l’anima ballando, ma ora non ne sono più tanto sicura, ma ho ricominciato, vediamo. Abbinare i colori. Parlare quattro lingue, veramente bene solo una, la mia, in un paio posso  lavorare e formulare concetti complessi, nell’ultima, quella che mi servirebbe di più al momento, faccio ancora ampio uso di gesti e complicate circonvoluzioni linguistiche, per aggirare le mie voragini nel vocabolario. Fare i grattoni ai gatti, che sarebbero come i grattini, ma molto più energici, che a loro che hanno la pellaccia dura piacciono. Far ridere il Piccolo, ma a lui per fortuna basta poco.

 

Esercizio di stile suggerito, link dopo link, da Rillo.

2+

Dove eravamo rimasti? Altro che Brevissimo riassunto delle puntate mancanti! Sono successe tante di quelle cose. La più importante è un figlio, finalmente, che ha già lanciato il suo primo abbrivo pomeridiano dalla cameretta dove dorme. Ora il Piccolo ha più di due anni, comincia a parlare al primo risveglio e termina solo quando si addormenta, inizia a correre appena gli si concede libertà di movimento e smette solo quando gliela si toglie. Il piccolo ha tre grandi passioni, che non sono Bacco, Venere e Tabacco, come vanta il Suocero, ma Elicotteri, Alberi e Ragazze, che di Venere mi sembra sia ancora presto per parlarne, ma forse no.

 

Ah, dimenticavo, abbiamo gli stessi occhi.

Brevissimo riassunto delle puntate mancanti

 

Dunque, la protagonista, come avevamo già visto nelle ultime puntate, affronta eroicamente la trasmigrazione che dall’Italia la porta nella grande Germania. Ivi trascorre il suo primo anno allegramente e spensieratamente, intenta solo all’apprendimento dell’ostico idioma, al perfezionamento dell’equilibrio sulla bicicletta e alla panificazione.

 

Un giorno Lui le propone timidamente di mostrare il suo curriculum vitae ad un amico comune, così, tanto per vedere cosa succede. Lei, pensandosi al riparo da qualunque proposta di lavoro, per accontentarlo ne stampa una copia non aggiornata, in italiano.

 

Da quel giorno la sua vita non sarà più la stessa. L’amico comune, in grado di leggere la lingua italiana, la piazzerà sul mercato del lavoro internazionale nel breve lasso di due settimane. La nostra eroina non sarà in grado di rifiutare l’allettante prospettiva di lavorare presso l’Agenzia Spaziale Europea e cederà incautamente alla proposta di lavoro. Un anno dopo, a chi stupito le chiedeva perché voleva lasciare un lavoro così interessante in un ambiente tanto prestigioso, rispondeva che tecnicamente anche l’indiano che spazza le foglie dai viali del parco dell’agenzia lavora per l’ESA.

 

Contro il volere di tutti decide quindi di abbandonare il lavoro, ma non riesce a licenziarsi, il suo capo la coinvolge ancora una volta in un lavoro interessantissimo, in un progetto che in tutto il mondo ve ne saranno forse cinque. Divorata dall’ottimismo e dalla curiosità, più che dall’ambizione, cede ancora una volte alla lusinga del nuovo lavoro e non riesce più a liberarsene. Tutte le sue energie sono irrimediabilmente fagocitate dall’attività lavorativa, in un paese dove la parola lavorare non assume i molteplici significati di leggere email/prendere il caffè/leggere il giornale/telefonare/pranzare/riprendere il caffè/guardarsi le offerte di viaggi su internet/chiacchierare/ritelefonare/lavorare. Nel frattempo trascura tutti i suoi interessi ed i suoi passatempi, acquista dieci chili di peso, comincia a smaniare per il caldo quando la temperatura esterna supera i ventidue gradi, guarda con riprovazione gli stranieri che non si comportano da tedeschi modello, si scaraventa fuori di casa alla prima comparsa di un timido sole nel vano tentativo di far virare il proprio colorito dal giallo elisabettiano al pesca mediterraneo.

 

Esasperata dalla piega che gli eventi hanno preso, decide di riprendere in mano la propria vita, a cominciare dalla tastiera, per scrivere, nella lingua italiana, e non nei barbari idiomi a cui è quotidianamente costretta.

 

Malatempora

Allora, i piccioncini partono per il loro terzo viaggio di nozze, dopo piú di un anno. Grazie a tutti quelli che vi hanno contribuito. Mi raccomando, non gufate con il tempo che in Islanda le condizioni meteorologiche sono giá estreme per conto loro.

 

*99 Euro All-inclusive Bordell Angebot

Ieri sera io e Lui eravamo davanti alla televisione, accesa questa volta. Erano quasi le undici e ci eravamo vessati con il finale drammatico di un film in francese sottotitolato in tedesco, tanto per gradire. Facendo zapping siamo finiti su RTL, un canale piuttosto importante, quello sul quale stanno trasmettendo tutte le partite del mondiale, per intenderci.

C’è un tipo che ha la faccia italiana che parla, sulla striscia in sovrimpressione passa infatti il nome di Toni, direttore di Hotel. Il signore sta spiegando, con un sorriso da promozione pubblicitaria, che l’Hotel da lui diretto offre, per la modica cifra di 99 euro, oltre al pernottamento in Hotel in pensione completa, una donna a scelta del cliente, per un ora, e bevande a volontà. Afferro il telecomando, casomai Lui volesse cambiare, e gli chiedo “Senti, ho capito bene?”, Lui risponde ridacchiando, “Non lo so”. Il resto del servizio non lascia adito ad alcun dubbio. Una graziosa signorina appena velata da un nonnulla, mostra alle telecamere le stanze da letto, dotate di specchio e di una tendina striminzita vagamente rossa, il bar, arredato come un rifugio di montagna, comprese le mattonelle verde-marrone del pavimento, la stanza con gli armadietti di metallo dotati di chiave per mettere al sicuro i propri oggetti, la rastrelliera di ciabatte, la piscina dove una trentina di ragazze completamente nude intrattengono i clienti. Seguono varie interviste ai clienti in ammollo, che si dicono tutti soddisfatti della varietà dell’offerta e della comodità del luogo, e della bontà e dell’abbondanza del cibo.

Ho cercato di immaginare la faccia di una mamma italiana mentre guarda il proprio figlio seminudo elogiare alla nazione il bordello nel quale si trova. Poi ho cercato di immaginare la faccia di un papà italiano mentre vede la propria figlia nuda sculettare in tacchi alti sul bordo della piscina di un bordello. Non ci sono riuscita. Il direttore sorridente concludeva il servizio con altri frasi incomprensibili, ad eccezione dell’ultima, lo slogan*. In tedesco “Angebot” vuol dire “offerta”. Per il resto non serve traduzione.

Patrioti

Ieri c’é stata la partita di calcio Italia-Ghana, durante la quale io e Lui eravamo comodamente seduti sul divano a leggere, davanti al televisore spento. Nel silenzio della serata abbiamo udito un urlo in lontananza, qualcosa del tipo “Gooolllll!!”. Ho pensato, “Forse ho sentito male”, ed ho detto “Puoi accendere la Tv? Forse abbiamo segnato”. E infatti, il secondo Goal, abbiamo spento di nuovo. Tempo un quarto d’ora fuori per strada c’era un casino: clacson, urla, viavai di macchine, un carosello. Io e Lui ci siamo guardati allibiti ed increduli. Beh, tutto sommato nulla di nuovo, l’Italia vince, tutti in piazza a fare i caroselli, certo. Non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che siamo nel cuore della Germania. Vorrei capire dove vivono nascosti tutti gli Italiani che sono qui.

 

Risció

Credevo li avessero aboliti, e invece vanno molto di moda nell’epoca moderna. A Francoforte ce ne sono tanti, offrono un servizio Taxi nel centro storico. Il baldo tassinaro é in sella alla bicicletta e pedala, mentre i due clienti siedono comodamente dietro e si godono il panorama, riparati dalle intemperie. La foto non rende bene l’idea, ma é lúnica che ho trovato. Credevo di conoscere tutti i possibili impieghi che i Tedeschi hanno inventato per la bicicletta, e invece …

 

Risció

 

Apocalisse

E’ notte sulla terra ed il cielo è pieno di stelle. Fuochi ed esplosioni si estendono e si susseguono ovunque. Noi siamo su di una collina, circondata da foreste, assistiamo impotenti allo spettacolo. Nel cielo ci sono delle immense arche di legno che lo solcano in tutte le direzioni, si dirigono verso le costellazioni. Quando una di queste scompare alla vista si spegne anche la costellazione verso la quale era diretta. Io mi scopro ferita e mi ritrovo a bordo di un’arca. L’interno è scolpito di marmi rossicci. Un vecchio magro vestito con una tunica mi chiede di infilare la mano in una fessura, obbedisco. D’ora in poi tutte le volte che vorrò oltrepassare una delle porte di marmo mi basterà alzare la mano e quella si aprirà veloce e silenziosa. Aspetto in fila con altre persone di essere curata. Ci sono delle difficoltà, ma alla fine riescono a medicarmi. Ora ho paura che mi facciano rientrare nell’inferno, non voglio scendere, voglio restare sull’arca. Trovo una piccola stanza e con Lui mi rifugio li, sbarro l’ingresso. La stanza ha un oblò, posso vedere quello che accade fuori. Presto ho sonno e nel buio e nel silenzio mi addormento. Forse con noi ci sono due bambini. Quando mi risveglio guardo fuori. E’ sempre silenzio. E’ sempre notte. Sotto di me c’é una costa illuminata dai fuochi e dalle esplosioni. Gli animali fuggono atterriti verso il mare. Ci sono animali di specie che non ho mai visto, alcuni di loro sembrano dei dinosauri. L’arca si dirige verso una città costruita sul mare, è una città di grattacieli, è grande, ci sono costruzioni che non ho mai visto, è piena di colori e di luci, ma anche lei sta morendo come tutto il resto. Nella stanza non sento rumori, vedo solo le luci e la fine.

Tranquilli, non è niente, è solo l’effetto psicotropo del Gulash con le cipolle, alle cinque del mattino.